Donna Madre e Rarità

Donna Madre e Rarità

In occasione della Giornata Internazionale della Donna, vogliamo condividere con voi una riflessione sul binomio Donna e Rarità e sul trinomio Donna, Madre e Rarità, un complesso universo ancora non molto esplorato e compreso.

“In Europa una malattia si definisce rara quando colpisce non più di cinque individui ogni diecimila persone. Si conoscono tra le seimila e le ottomila malattie rare, molto diverse tra loro ma spesso con comuni problemi di ritardo nella diagnosi, mancanza di una cura e carico assistenziale. Le oltre settemila patologie rare hanno un forte impatto economico e sociale sull’intera comunità.”

In Italia, sono oltre due milioni le persone con una diagnosi di malattia rara; ma con un impatto numericamente molto maggiore di persone coinvolte. Chi è affetto da queste patologie, molte delle quali sconosciute, ha bisogno di una costante assistenza; la vita delle famiglie, quindi, viene completamente stravolta e si è costretti a riorganizzare tutto il quotidiano con modalità e tempi subordinati alle esigenze e ai bisogni del familiare malato. Nella maggior parte dei casi, è la figura femminile (nel circa il 90% dei casi) che assume il ruolo di caregiver e che si fa carico della persona malata.

Una realtà veramente molto complessa, dalle mille implicazioni: quando la donna è essa stessa paziente, quando ricopre il ruolo di caregiver, ma molti i casi nei quali i due ruoli coesistono.

L’incertezza all’insorgere dei sintomi, la difficoltà di una diagnosi e di una presa in carico rende difficile, talvolta impossibile, per queste Donne organizzare quella che per gli altri è la semplice routine; per non parlare di un progetto di vita futuro con un ruolo attivo nella società, costrette spesso a rinunciare: ai propri sogni, ambizioni, realizzazioni professionali.

Il non poter conciliare i bisogni famigliari di assistenza, che assumono il ruolo di priorità, con il lavoro si traduce in un disagio economico che le rende ancor più vulnerabili.

Quando una ragazza, una donna, una madre si trovano a tu per tu con la Rarità, il personale progetto di vita viene smantellato dall’incertezza con un conseguente disagio personale e sociale che impatta negativamente anche sulla comunità di riferimento.

L’incertezza strettamente correlata alla Malattia Rara o ultra-rara costringe la Donna ad affrontare grandi temi: 

  • deve rapportarsi con il suo corpo che cambia e quindi con la sua femminilità;
  • l’insorgere dei sintomi la obbligano sovente a dover affrontare il tema della fertilità e a considerare l’eventuale impatto della sua condizione sulla gravidanza, nonché il rischio di trasmissione genetica della malattia ai figli.

Le enormi sfide che deve affrontare una Donna – Madre – Caregiver impegnata sul piano assistenziale e alla costantemente ricerca di soluzioni ad imprevisti all’ordine del giorno, la costringono a porre in secondo piano la sua personale salute e il suo ben-essere, tralasciando a volte per anni l’importanza di un check-up, con conseguenze non sempre banali.

Nonostante vi sia chiara evidenza di quanto il binomio Donna – Malattia Rara sia complesso e necessiti di un approccio olistico, ciò che emerge dagli studi e dalle indagini è che il focus è sulla ricerca di nuove terapie e sull’innovazione ma non ancora propriamente concentrato sulle difficoltà che si hanno nel quotidiano quando si convive con la malattia rara e le sue rilevanti implicazioni psicologiche e sociali.

Un fenomeno preoccupante, che è doveroso attenzionare, è la violenza nei confronti delle donne con disabilità: le vittime vivono una doppia discriminazione che le rende esposte a forme ulteriori di sopraffazione. Con riferimento a tale condizione si parla spesso di discriminazione multipla. Per quanto concerne il contesto normativo nazionale, sebbene non esista una norma specifica che tuteli la persona con disabilità in quanto donna, trova applicazione la più generale legislazione in materia di violenza di genere e a tutela delle persone disabili. A tal proposito riteniamo sia di fondamentale importanza un cambio di paradigma culturale investendo concretamente sulle nuove generazioni sin dalla scuola primaria.

Come associazione sentiamo forte l’esigenza e il bisogno di dare il nostro contributo nel sensibilizzare e puntare i riflettori sul “rapporto” malattia rara e Donna e sugli innumerevoli limiti che da esso ne derivano. I dati, ad oggi disponibili su come la malattia sia Vissuta dalla Donna con tutte le sue implicazioni: sociali, economiche e psicologiche sono ancora insufficienti.

Molti gli obiettivi da raggiungere, le sfide per il futuro, il lavoro che ci attende per il quale è necessario fare rete e creare ampie sinergie tra: associazioni, istituzioni e stakeholder diversi. 

In ultimo, desideriamo sottolineare che progetti importanti e virtuosi sono stati avviati e che sono conferma dell’impegno di molti nell’individuare azioni concrete con l’obiettivo di migliorare la condizione di vita delle Donne che “convivono” con malattia rara.

Di seguito i link per approfondire:

ANALISI.ISS

MALATTIE RARE. QUANDO AD AMMALARSI È LA DONNA

MALATTIE RARE. RISOLUZIONE ONU

DONNE SALUTE E RARITÀ

DONNE SALUTE E RARITÀ

RARE-D

LA RIVISTA ITALIANA DELLE MALATTIE RARE: DONNE E RARITÁ

DONNE CAREGIVER NELLE MALATTIE RARE

VANESSA DA SORELLA A CAREGIVER

Donne caregiver

Vogliamo oggi condividere con voi cinque testimonianze di Donne Straordinarie della nostra comunità che convivono con la Rarità con: le loro fragilità, la loro resilienza, il loro dolore, la loro capacità di reagire e che hanno messo al servizio della società la loro personale esperienza di vita trasformandola in un servizio utile attraverso le loro associazioni.

GIULIANA GALARDINI

Mamma di Nicholas e Jonathan due ragazzi che hanno rispettivamente 24 e 15 anni

Quando hai ricevuto diagnosi di malattia rara dei tuoi ragazzi?

L’insorgenza acuta della sintomatologia e della diagnosi risale a quando avevano rispettivamente 7 e 4,5 anni.

Cosa vuol dire per una madre ricevere diagnosi di malattia rara dei propri figli?

Il crollo di tutte le certezze e di non riuscire a vivere una vita serena; entrare nell’inferno della sofferenza psicologica e della vita in generale

Come hai trovato la forza per reagire?

La forza è arrivata quando ho capito (all’epoca della diagnosi del mio figlio maggiore), che nessun medico avrebbe potuto aiutarmi poiché nessuno conosceva la malattia, e che dunque avrei dovuto studiare, continuare a cercare medici e soluzioni. In definitiva, che avrei dovuto cavarmela da sola.

Qual è il sentimento che prevale quando ricevi una diagnosi di MR sapendo che segnerà per sempre il percorso delle Vostre vite?

Rabbia e disperazione, senso di solitudine e abbandono

Qual è il consiglio che vorresti dare alle mamme che oggi si trovano nella medesima condizione?

Quello di remare insieme ai medici che hanno a cuore il caso, di proporre soluzioni e di tentare terapie e collaborazioni con vari centri

Nella tua vita affrontare la rarità è divenuta ordinarietà. Quando convivi con la malattia c’è un intruso, un ospite indesiderato: pensi sia possibile non farsi totalmente sopraffare e riuscire a preservare il tuo essere Donna socialmente e professionalmente attiva? 

Personalmente la vedo dura riuscire a conciliare la malattia con tutti gli altri aspetti della vita. Quando hai un figlio che soffre la priorità è lui, non riesci a fare molto altro che non sia strettamente legato alla sua condizione di salute. Tutto il resto è gelo e animia che ti scivola addosso.

Ritieni che una donna caregiver sia attualmente adeguatamente supportata dalle istituzioni e dal sistema in generale?

Assolutamente no, la sensazione è quella di essere stata abbandonata dalle istituzioni, che a volte non solo non hanno risposte da dare, ma che oltretutto ti prendono per visionaria e fissata.

In chi hai riconosciuto o riconosci essere un punto di riferimento realmente concreto a valido: famiglia, amici, associazioni?

Dipende molto dalle persone che incontri. I medici sono la prima risorsa alla quale fai riferimento. Le associazioni vengono subito dopo. Amici e i parenti possono dare sostegno morale interiore. Una risorsa valida, a mio parere, potrebbe essere un sostegno psicologico o psicoterapico da parte di professionisti formati.

Tanti gli stereotipi quando si parla di femminilità e di femminilità nella disabilità? Cosa ne pensi?

Credo che una mamma pensi poco alla sua femminilità di fronte a una malattia del figlio. Questa si esprime automaticamente per motivi antropologici nella cura e nell’amore, cosa che raramente avviene al maschile.

Qual è il tuo messaggio di speranza? 

Da credente, il mio consiglio è quello di affidarsi alla fede, all’amore, nonché ai medici e alle associazioni.

Giuliana fonda, nel 2010, PANS PANDAS Italia APS

PAOLA RISSO

Mamma di Sara una giovane ragazza di 17 anni

Quando hai ricevuto diagnosi di malattia rara di tua figlia?

Ad aprile 2008.

Cosa vuol dire per una madre ricevere diagnosi di malattia rara della propria figlia?

È stato difficile continuare a guardare mia figlia con gli stessi occhi, ho avuto un momento in cui non sapevo più chi avessi davanti e che cosa ci si sarebbe aspettato, ad entrambe.

Come hai trovato la forza per reagire?

I nostri familiari ci sono stati molto vicino e soprattutto le famiglie dell’associazione che abbiamo conosciuto ci hanno dato la speranza che presto saremmo tornati a vivere in un nuovo contesto ma che non sarebbe stato solo di sofferenza. Mi sono avvalsa anche del supporto psicologico del centro di riabilitazione che frequentava mia figlia.

Qual è il sentimento che prevale quando ricevi una diagnosi di MR sapendo che segnerà per sempre il percorso delle Vostre vite?

Io mi sono sentita in una morsa, legata ad una patologia tutta la vita con l’ansia di cosa sarebbe stato di mia figlia quando io non ci sarei più stata. Spesso sognavo la comunicazione della diagnosi, sperando che questo incubo si sciogliesse al risveglio.

Qual è il consiglio che vorresti dare alle mamme che oggi si trovano nella medesima condizione?

Che la malattia dei nostri figli non sono i nostri figli. Non si può modificare la realtà ma si deve cercare di affrontare in maniera positiva tutte le opportunità che dobbiamo saper cogliere. Il nostro compito è capire le loro potenzialità, lavorare su quello che possono dare, capire e sostenere la loro autodeterminazione, sin da piccoli abituarli a scegliere e non sostituirsi a loro. 

Nella tua vita affrontare la rarità è divenuta ordinarietà. Quando convivi con la malattia c’è un intruso, un ospite indesiderato: pensi sia possibile non farsi totalmente sopraffare e riuscire a preservare il tuo essere Donna socialmente e professionalmente attiva?

Non è stato semplice, ci sono alcune tutele che ci permettono di mantenere il lavoro e nello stesso tempo essere caregiver. Purtroppo, non sono mai abbastanza, spesso bisogna usufruire di ferie e permessi personali, soprattutto qualora ci si occupa non solo del proprio famigliare ma si ricopre un ruolo istituzionale legato alla difesa e alla tutela dei diritti con malattia rara.

Ritieni che una donna caregiver sia attualmente adeguatamente supportata dalle istituzioni e dal sistema in generale?

No, non dico che non esiste nulla, ma il tempo di cura non è assolutamente calcolato e non può essere paragonato al tempo di cura di una mamma con figli normodotati.

In chi hai riconosciuto o riconosci essere un punto di riferimento realmente concreto e valido: famiglia, amici, associazioni?

Soprattutto le associazioni che sono fatte di famiglie come le mie che lottano ogni giorno per il futuro dei nostri figli.

Tanti gli stereotipi quando si parla di femminilità e di femminilità nella disabilità? Cosa ne pensi?

Penso che la femminilità possa spiccare anche in una persona disabile senza ombra di dubbio, Mia figlia ha 17 anni e la sua femminilità si può respirare.

La violenza di genere è un fenomeno universale e trasversale che colpisce le donne di tutte le età, estrazioni sociali, religioni, etnie in ogni parte del mondo. La violenza nei confronti delle donne con disabilità rappresenta un fenomeno ancor più preoccupante in quanto le vittime, nella loro qualità di donne e persone con disabilità, vivono una doppia discriminazione che le rende esposte a forme ulteriori e peculiari di sopraffazione. Con riferimento a tale condizione si parla spesso di discriminazione multipla. Per quanto concerne il contesto normativo nazionale, sebbene non esista una norma specifica che tuteli la persona con disabilità in quanto donna, trova applicazione la più generale legislazione in materia di violenza di genere e a tutela delle persone disabili.

Ritieni sia necessario un intervento specifico del legislatore e/o deve avvenire un vero e proprio cambio di paradigma culturale puntando su: sensibilizzazione, consapevolezza e formazione partendo dalle scuole e rivolgendosi ai giovani-adulti?

Assolutamente si, si dovrebbe creare una cultura che possa portare alla nostra società una coscienza capace di mettersi in moto, in difesa delle persone più fragili. A scuola i compagni, se ben guidati, sono una protezione verso l’esterno, in quanto conoscendo il proprio compagno/compagna e condividendone il percorso possono non solo aiutare ma imparare dalla diversità e aiutarlo ad affrontare il percorso dell’adultità.

Qual è il tuo messaggio di speranza?

Non facciamoci travolgere dalle nostre paure, ma spingiamoci oltre a quello che pensiamo sia impossibile fare e avremo risultati inaspettati, l’ora più buia è quella che precede il sorgere del sole.

Paola è Presidente dell’Associazione Persone Williams Italia Onlus

RAFFAELLA RESTAINO 

Mamma di Alessandra

Quando hai ricevuto diagnosi di malattia rara di tua figlia?

Alla nascita, nel 1980.

Quale fu la diagnosi?

Dopo varie peripezie, amartoma poi nel tempo diventata Malformazione Vascolare

Cosa vuol dire per una madre ricevere diagnosi di malattia rara della propria figlia?

Avere la percezione che ti sta cambiando la vita.

Come hai trovato la forza per reagire?

In parte nella fede, che mi ha dato la possibilità di passare alla domanda “Perché?” alla domanda “Cosa devo fare”?

Qual è il sentimento che prevale quando ricevi una diagnosi di MR sapendo che segnerà per sempre il percorso delle Vostre vite?

Smarrimento, dolore non tanto per te ma per quello che la tua piccola deve affrontare: dal dolore fisico, alle frequenti ospedalizzazioni, dalla poco “sana” curiosità delle persone

Qual è il consiglio che vorresti dare alle mamme che oggi si trovano nella medesima condizione?

Di comportarsi con il bambino/adulto che vive queste problematiche, nella maniera più normale possibile, aiutandolo a coltivare le proprie risorse in modo da non bloccarne la crescita personale con le proprie ansie.

Nella tua vita affrontare la rarità è divenuta ordinarietà. Quando convivi con la malattia c’è un intruso, un ospite indesiderato: pensi sia possibile non farsi totalmente sopraffare e riuscire a preservare il tuo essere Donna socialmente e professionalmente attiva?

Si è possibile, io ci sono riuscita e non ho nulla di speciale.

Ritieni che una donna caregiver sia attualmente adeguatamente supportata dalle istituzioni e dal sistema in generale?

Non credo sia adeguatamente supportata, né dal sistema né dalle istituzioni, ma deve da sola creare la rete di supporto sia per lei che per il/la figlio/a.

In chi hai riconosciuto o riconosci essere un punto di riferimento realmente concreto e valido: famiglia, amici, associazioni?

Sicuramente famiglia e amici, le associazioni dipende dalla loro organizzazione

Tanti gli stereotipi quando si parla di femminilità e di femminilità nella disabilità? Cosa ne pensi?

È un tema difficile su cui non credo si possa generalizzare, creerebbe aspettative e delusioni.

La violenza di genere è un fenomeno universale e trasversale che colpisce le donne di tutte le età, estrazioni sociali, religioni, etnie in ogni parte del mondo. La violenza nei confronti delle donne con disabilità rappresenta un fenomeno ancor più preoccupante in quanto le vittime, nella loro qualità di donne e persone con disabilità, vivono una doppia discriminazione che le rende esposte a forme ulteriori e peculiari di sopraffazione. Con riferimento a tale condizione si parla spesso di discriminazione multipla. Per quanto concerne il contesto normativo nazionale, sebbene non esista una norma specifica che tuteli la persona con disabilità in quanto donna, trova applicazione la più generale legislazione in materia di violenza di genere e a tutela delle persone disabili.

Ritieni sia necessario un intervento specifico del legislatore e/o deve avvenire un vero e proprio cambio di paradigma culturale puntando su: sensibilizzazione, consapevolezza e formazione partendo dalle scuole e rivolgendosi ai giovani-adulti?

Vanno curati entrambi gli aspetti, sia quello di dare pene maggiori in queste circostanze, sia sul cambiamento culturale.

Qual è il tuo messaggio di speranza?

Credere fortemente che le situazioni nel tempo possano cambiare grazie alla possibilità di individuare nuove cure, ma nel caso in cui non si raggiungano risultati a breve termine, sforzarsi di analizzare la realtà, senza alimentare illusioni e individuare tutte le positività presenti in chi vive il problema.

Raffaella è Responsabile Rapporti Istituzionali de La Fondazione Alessandra Bisceglia ViVa Ale ETS 

Nata nel 2009, ha come scopo lo studio e la cura delle anomalie vascolari.
La Fondazione nasce per volontà degli amici e colleghi di Alessandra Bisceglia i quali hanno ritenuto che la sua storia potesse essere un vero esempio di vita e che nel suo nome possono compiersi azioni di aiuto rivolte a chi vive problemi simili ai suoi, coniugando così ricordo e impegno sociale

RITA TREGLIA

Sono Rita Treglia, Presidente di ANACC e Segretario di UNIAMO; non è semplice ripercorrere i tempi della diagnosi di malattia rara dei miei giovani uomini. Siamo in attesa ancora per il maggiore, per il minore sono stata più “fortunata” con una diagnosi arrivata dopo sei anni e mezzo dai suoi primi sintomi, in quest’ultimo caso mi sono detta che almeno sapevo con cosa avevo a che fare e quindi potevo disporre di informazioni (anche se all’epoca erano scarse). 

Il dolore l’ho messo a tacere con la ricerca di clinici che potessero curarli, credo come tutte le mamme di aver vissuto nel grigio con sprazzi di sole finché non sono riuscita a comprendere che la serenità è presente anche nella precarietà. 

Ci ho messo tempo per comprenderlo, per questo è fondamentale il supporto psicologico alle famiglie fin dal sospetto di malattia rara di un loro figlio. 

Il momento della diagnosi è un terremoto, l’accettazione è un percorso lungo e doloroso e non bisogna mai vergognarsi di chiedere supporto.

Come madre ho cercato di insegnare ai miei figli di andare aldilà della malattia ed essere orgogliosi di come procedono nella vita, poi l’ho fatto anche con me quando mi è stata diagnosticata la mia. Dobbiamo valutare la nostra capacità di essere progettuali nonostante la malattia, nonostante la precarietà in tutti gli ambiti della vita (famiglia, scuola, lavoro, tempo libero…) e incredibilmente poi noi rari ci riusciamo ma non ci riesce l’ambiente in cui noi viviamo, spesso. 

Serve un cambio di passo culturale accompagnato da un sistema che aiuti la madre caregiver prima e la giovane donna con malattia rara poi e in questo panorama è importante il ruolo svolto da Uniamo in continuo dialogo con le istituzioni.

C’è tanto da fare e ci sarebbe tanto da dire sulle Donne madri caregiver e rare loro stesse. Desidererei però che nessuna Donna dimentichi di essere orgogliosa di se stessa, apprezzi ciò che è in grado di fare e sia consapevole di come riesce a cambiare il suo ambiente di vita e di come, grazie a tutte noi, il mondo sta cambiando.

Rita, Presidente ANACC e Segretario UNIAMO 

VALENTINA CERRONE 

Valentina quando hai ricevuto diagnosi di malattia rara? 

La mia prima diagnosi di Sclerosi Sistemica progressiva con fenomeno di Raynaud risale al 2015, quando avevo 32 anni; poi nel 2020 successivamente all’asportazione di una massa espansiva intracranica in sede temporo-parietale destro, la seconda diagnosi di vasculite granulomatosa – tipo sarcoideo; ad oggi ancora non so se le due diagnosi sono correlate

Cosa vuol dire ricevere diagnosi di malattia rara?

Difficile riuscire ad esprimere cosa provai in quel momento; sicuramente ciò che ha predominato è stato il panico

Come hai trovato la forza per reagire?

La mia forza è arrivata in primis dalla mia famiglia, mi sentivo smarrita, la malattia era aggressiva ed era difficile stabilizzare le terapie; poi nel 2016, dopo ulteriori consulti trovai maggior conforto dal professore che mi prese in cura e le nuove terapie più efficaci mi diedero più coraggio.

Qual è il sentimento che prevale quando ricevi una diagnosi di MR sapendo che segnerà per sempre il percorso della tua vita?

Forte senso di precarietà e instabilità

Qual è il consiglio che vorresti dare alle giovani donne che oggi si trovano nella medesima condizione?

Avere molta pazienza. Non fermarsi ai primi ostacoli ed affidarsi ai centri esperti

Nella tua vita affrontare la rarità è divenuta ordinarietà. Quando convivi con la malattia c’è un intruso, un ospite indesiderato: pensi sia possibile non farsi totalmente sopraffare e riuscire a preservare il tuo essere Donna socialmente e professionalmente attiva?

È sicuramente molto difficile non lasciarsi sopraffare da una diagnosi che stravolge letteralmente il tuo percorso di vita. Ma, oggi ritengo che con un valido e costante supporto psicologico sia possibile riuscire ad intravedere alternative e soluzioni per il futuro

Ritieni che una donna con MR sia attualmente adeguatamente supportata dalle istituzioni e dal sistema in generale?

Penso che ad oggi noi Donne Rare non riceviamo ancora un supporto adeguato, ma sicuramente rispetto al passato c’è una maggior sensibilità da parte delle istituzioni 

In chi hai riconosciuto o riconosci essere un punto di riferimento realmente concreto e valido: famiglia, amici, medici?

Considerando il senso di precarietà che avverto, sicuramente i miei medici sono un riferimento concreto e indispensabile, poi ovviamente la mia famiglia

Tanti gli stereotipi quando si parla di femminilità e di femminilità nella disabilità? Cosa ne pensi? 

Il tema è molto complesso. Quando la malattia rischia di modificare anche il tuo aspetto esteriore il rapporto con se stessi e con la propria femminilità viene messo a dura prova. Mi viene da dire, che una “guida” psicologica può essere la “strada” per trovare una nuova e diversa femminilità

La violenza di genere è un fenomeno universale e trasversale che colpisce le donne di tutte le età, estrazioni sociali, religioni, etnie in ogni parte del mondo. La violenza nei confronti delle donne con disabilità rappresenta un fenomeno ancor più preoccupante in quanto le vittime, nella loro qualità di donne e persone con disabilità, vivono una doppia discriminazione che le rende esposte a forme ulteriori e peculiari di sopraffazione. Con riferimento a tale condizione si parla spesso di discriminazione multipla. Per quanto concerne il contesto normativo nazionale, sebbene non esista una norma specifica che tuteli la persona con disabilità in quanto donna, trova applicazione la più generale legislazione in materia di violenza di genere e a tutela delle persone disabili. 

Ritieni sia necessario un intervento specifico del legislatore e/o deve avvenire un vero e proprio cambio di paradigma culturale puntando su: sensibilizzazione, consapevolezza e formazione partendo dalle scuole e rivolgendosi ai giovani-adulti?

Personalmente ritengo sia necessario percorrere entrambi i percorsi

Qual è il tuo messaggio di speranza?

ad oggi devo prendere atto che le grandi sfide che affrontano le Donne con patologia rara non sono in realtà ben comprese ma sono fiduciosa che continuando a sensibilizzare si possano ottenere dei risultati

Valentina, socio fondatore di Butterfly A.P.S.

Ringraziamenti

Desideriamo ringraziare di cuore le Nostre Amiche, Donne Straordinarie per la loro generosità nel condividere un vissuto così potente; parole che raccontano dolore ma riescono anche ad infondere speranza:

Donne

come dice Giuliana, da principio c’è il crollo di tutte le certezze ma per alimentare speranze ci si può affidare alla fede, all’amore, nonché ai medici e alle associazioni.

come ci racconta Paola, quando ricevi la diagnosi ci si sente come in una morsa; ma ci consiglia di non farci travolgere dalle nostre paure, ma spingerci oltre a quello che pensiamo sia impossibile fare e avremo risultati inaspettati: l’ora più buia è quella che precede il sorgere del sole.

Raffaella ci confida che il sentimento che prevalse fu lo smarrimento e il dolore per tutto quello che la sua piccola avrebbe dovuto affrontare, ma che bisogna sforzarsi di analizzare la realtà, senza alimentare illusioni ed individuare tutte le positività presenti in chi vive il problema.

Rita ci ricorda che il momento della diagnosi è un terremoto, l’accettazione è un percorso lungo e doloroso e non bisogna mai vergognarsi di chiedere supporto; è importante che ogni Donna ricordi di essere orgogliosa di se stessa, apprezzi ciò che è in grado di fare e sia consapevole di come riesce a cambiare il suo ambiente di vita.

Valentina associa il giorno della sua prima diagnosi al panico, ma sostiene che un valido e costante supporto psicologico è la strada che consente di vedere alternative per guardare al futuro.

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